Non tutti sanno che, in tempi antichi, a Sorrento, esisteva una singolare manifestazione dai toni farseschi, nella quale si inscenava la allegorica morte di Carnevale e l’ingresso in città di Quaresima, nella sera del Martedì Grasso.
Tutto avveniva nella cornice di una settecentesca città del Tasso che possiamo figurarcela solo attraverso memorie storiche, antiche stampe d’arte e tradizioni orali.
La Sorrento delle famiglie dai nobili palazzi dove l’odierna Piazza Tasso era in realtà Piazza Castello, il Corso Italia non esisteva e dove oggi si trova la statua di Sant’Antonino, fino al 1863 capeggiava una delle porte d’ingresso della città.
A' mort 'e Surriento.
Ebbene, bisogna dire che tra i tanti proverbi antichi e modi di dire sorrentini, ce n’è uno caduto ormai in disuso che recitava: “a’ morte e’ Surriento”, usato per riferirsi a persone molto alte, scarne e dall’aspetto malandato.
Spulciando qua e là sul web scopriamo che l’espressione “Morte di Surriento” è citata sia nel seicentesco Pentamerone del napoletano Giambattista Basile che in un antico canto contadino giuglianese.
In entrambi i casi, con questo modo di dire, s’indicava un qualcosa che aveva a che fare certamente con la morte e a una sua “rappresentazione” proverbiale.
Le testimonianze storiche
E così, leggendo anche il blog di Giuseppe Maresca “Peppemarescatuttoattaccato”, troviamo il racconto di una storia antica su Sorrento, tratta dalla rivista ottocentesca <<Giambattista Basile>> (anno I, n^4), che riporta un’usanza scomparsa ma molto sentita fra i sorrentini: “A’ morte ‘e Surriento”.
A parlarne è Gaetano Canzano Avarna, nel suo libro “Leggende popolari sorrentine” del 1883.
La morte di Carnevale e l'avvento della Quaresima
L’autore racconta che a Sorrento nell’antico Palazzo Mastrogiudice, in via Padre Reginaldo Giuliani, era conservato un grande scheletro realizzato in legno e cartone raffigurante la Morte armata di falce; il suo utilizzo era previsto una volta all’anno.
Nella notte fra il Martedì Grasso e il Mercoledì delle Ceneri, un grande fantoccio rappresentante il Carnevale veniva addobbato di salumi e cibi succulenti e adagiato su un carro, sfilava per la città.
Il corteo festante partiva da via San Cesareo e si dirigeva all’allora piazza Castello verso il varco d’accesso.
Un altro carro proveniente da fuori alla porta della città, dalla zona dell’attuale Piazza Lauro, era accompagnato da un corteo funereo.
Si portava il fantoccio di una vecchia smagrita, vestita di stracci e addobbata con pietanze povere come legumi e baccalà.
Sotto l’arco della porta, ad aspettare Quaresima all’ingresso e Carnevale in uscita, c’era lo spaventoso scheletro di Palazzo Mastrogiudice.
La morte di carnevale
Ai rintocchi di mezzanotte, i due carri finalmente si incontravano sotto la porta e lì si consumava la tragica fine di Carnevale: con un colpo della sua falce, la Morte lo decapitava
Il tutto sotto gli occhi dei numerosissimi presenti i quali, tra grida e schiamazzi, si lanciavano sul malcapitato fantoccio portando via tutte le cibarie e riducendolo ad un grande falò. Quaresima, intanto, entrava in città.
Terminato lo “spettacolo”, il grosso scheletro tornava a Palazzo Mastrogiudice per essere custodito gelosamente e pronto per entrare in scena l’anno successivo.
La manifestazione vide la sua ultima realizzazione nel 1799.
Con la dominazione francese questa tradizione venne probabilmente proibita per sospetto di assembramenti notturni e movimenti politici antigovernativi.
L’autore rivela che riscontrò non pochi problemi a reperire informazioni su questa tradizione; anzi, sembrava quasi che tra i sorrentini fosse proibito parlarne.
Tuttavia, dai racconti di alcuni anziani, seppe che attorno al 1846 morì un tale Cav. Delle Noci che nella sua vita si era conquistato il soprannome di “morte di Sorrento” per via del suo aspetto pessimo, “altissimo, spolpato”.
Da questo aneddoto, il Canzano riuscì a raccogliere le notizie per il suo libro e così oggi, grazie a lui, conserviamo la memoria di questa bizzarra usanza!
Il Carnevale Sanleuciano
Un’altra testimonianza di questa rappresentazione la troviamo nel tradizionale carnevale di San Leucio del Sannio nel beneventano, anche se con una storia diversa.
Qui il Carnevale si festeggia con le Mascherate, ovvero delle rappresentazioni di Teatro di Strada, ed una di queste è proprio “‘A Morte ‘e Surriento” insieme ad altre quali “‘A Zingarella”, “‘U Faust'”, “Il Cavalier Turchino”, “La cavalcata del fiume rosso” e la più usuale “Zeza”.
È una “mascherata col fuoco” la cui la peculiarità è un utilizzo spropositato di fuochi pirotecnici, e, principalmente, la creazione di effetti speciali rudimentali al fine di ricreare le fiamme e l’atmosfera infernale.
Ad esempio viene utilizzata la “pece greca”, un miscuglio granuloso di catrame e crusca, ottenuto artigianalmente che, lanciato in aria con le mani, attraversa la fiamma delle torce e produce lingue smisurate di fuoco di dantesca memoria.
Qui però la rappresentazione mette in scena una storia d’amore tra un re Fido e la sua regina Clelia. La morte raggiunge il re dicendogli che presto morirà e lui, per evitarlo, stringe un patto con il diavolo e riesce a non perire.
Il re viene però catturato dai demoni che lo incatenano all’inferno e la regina Clelia, per liberare il proprio amato, si appellerà alle forze del Cielo e chiederà aiuto ad un monaco che però la ingannerà.
Il finale vede il monaco, portato dai diavoli, nell’abisso infernale e i due sovrani ricongiungersi.
Si ringrazia per il contributo Vittorio Zollo del Carnevale Sanleuciano e per la gentile concessione delle foto..